domenica, Maggio 4, 2025

Il dilemma dell’obbligo vaccinale sul luogo di lavoro

AVVISO: il blog vuole cercare di raggiungere una platea di utenti che normalmente non mastica il diritto del lavoro, e pertanto è volutamente sintetico e cerca di usare una comunicazione semplice. Un occhio tecnico potrebbe trovare alcune imperfezioni, che sono però un costo necessario da sostenere per poter raggiungere una platea più ampia.

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Complice l’avvio della campagna vaccinale anticovid, all’interno del dibattito pubblico è tornata prepotentemente la questione dell’obbligo vaccinale. 

Se da un lato abbiamo una posizione netta, pur rappresentata da una esigua minoranza di negazionisti e complottisti, dall’altra abbiamo un dibattito moderato tra chi predica prudenza e chi invece non ha dubbi sulla possibilità di vaccinarsi.

Considerando il fioccare di zone rosse a inizio 2021, l’idea del vaccino come soluzione definitiva sta spostando l’asticella del dibattito verso una generale volontà di farlo, pur non conoscendo tempistiche e modalità della vaccinazione di massa. Probabilmente anche per questo motivo il Governo non ha preso una posizione netta, limitandosi a stabilire che “Al momento non è intenzione del Governo disporre l’obbligatorietà della vaccinazione. Nel corso della campagna sarà valutato il tasso di adesione dei cittadini.” (altre FAQ possono essere consultate sul sito del Ministero della Salute a questo link).

Questa posizione può però creare degli imprevisti di una certa importanza in ambito giuslavoristico.

Senza scendere troppo in tecnicismi, per il Legislatore il virus alla base del COVID-19 è equiparabile all’incidente occorso in occasione di lavoro; non è il primo caso di malattia infettiva a essere assimilata a infortunio sul lavoro, grazie a una sapiente interpretazione del D.P.R. 1124/65, art. 2, tutelando economicamente coloro che hanno contratto il virus sul luogo di lavoro.

Se il COVID-19 può causare un infortunio sul lavoro o una malattia professionale, allora il datore di lavoro deve adottare “le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, come disposto dall’articolo 2087 del Codice Civile.

Visto che non esistono prove scientifiche di farmaci in grado di poter curare l’infezione da COVID-19, solo il vaccino rappresenta la misura definitiva per la tutela dell’integrità dei lavoratori.

La domanda allora è: in caso d’infezione sul luogo di lavoro collegata a lavoratori che non hanno voluto vaccinarsi, cosa succede?
Stando all’attuale normativa contenuta nel d.lgs. 81/2008, se il datore di lavoro non pone in essere le giuste misure a tutela dell’integrità e della salubrità del luogo di lavoro e dei lavoratori, risponde penalmente in caso d’insorgenza malattia professionale, cioè quella contratta nell’esercizio del lavoro. 

Ma dispone anche che “ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.

Durante e dopo la prima ondata, le aziende hanno adeguato le proprie sedi e le proprie organizzazioni al Protocollo di sicurezza del 25 marzo e successive modifiche che stabilisce tra le altre cose “La prosecuzione delle attività produttive  può  infatti  avvenire solo in presenza  di  condizioni  che  assicurino  alle  persone  che lavorano adeguati livelli di protezione. La mancata attuazione del Protocollo che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni  di sicurezza”.

Tale Protocollo si fonda sull’assunto essenziale che in quel momento storico non esisteva alcun mezzo specifico per evitare il contagio, pertanto rispettandolo veniva meno qualsiasi responsabilità. 

Adesso che numerosi vaccini sono sul mercato, le norme anti-contagio finiranno a un certo punto per diventare obsolete, poiché superate da una misura medica fornita dal Servizio Sanitario Nazionale. Senza un obbligo però

  • il datore di lavoro non potrà garantire il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro poiché non potrà avanzare la pretesa di ricorrere al vaccino
  • il lavoratore non vaccinato continuerà a rispettare l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro pur senza aver posto in essere il principale presidio medico contro la pandemia, creando un corto circuito normativo nella normativa.

Il problema non è di cosi poco conto: al momento infatti il d.lgs. 81/2008 prevede solo un obbligo in caso di rischio specifico, e in particolare d’informare i lavoratori sull’importanza dell’immunizzazione e sui vantaggi e sugli inconvenienti della vaccinazione o della mancata vaccinazione specificando che “tali vaccini devono essere dispensati gratuitamente a tutti i lavoratori e agli studenti che prestano assistenza sanitaria e attività a essa correlate nel luogo di lavoro”.

Per tutti gli altri casi esiste un vuoto normativo che mette in imbarazzo i datori di lavoro che intendono tutelare la salubrità del luogo di lavoro e i lavoratori che intendono non esporsi a rischi. 

“Il lavoro, spiegato bene” è il blog di Sergio Villabuona, consulente del lavoro ed euro-progettista. È possibile interagire con lui attraverso la sua pagina Facebook.

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